| Dietro alla Sicurezza (1a parte)
Se permettete vorrei riordinare un momento le idee sul problema della sicurezza. Basta guardare un po' d'interventi sul forum per rendersi conto che il caos è notevole e in alcuni casi sapientemente organizzato da abili mestatori. Per mettere ordine, però, sarà meglio fare tabula rasa e ripartire dalle origini senza perdersi in questioni fuorvianti del tipo: "Gli scozzesi portano le mutande sotto al kilt?" "Gli angeli, di che sesso sono?" "Gli aeromodelli sono giocattoli o aerodine?" Chi non avesse voglia di sciropparsi il pistolotto che segue, abbia il buon gusto di cambiare aria invece di fare commenti superflui.
La domanda centrale è: cosa fa sì che oggi, in Italia, il problema della sicurezza nell'aeromodellismo sia divenuto cruciale al punto da suscitare vere e proprie guerre di religione? Che forse 10, 20, 30, 40, 50 anni fa gli aeromodelli e gli aeromodellisti non costituivano un problema?
L'aeromodellismo, in Italia, come fenomeno di massa (una massa piccola-piccola...) è nato negli anni '30. I modelli dell'epoca erano da volo libero, veleggiatori o ad elastico. I modelli a motore e chi se li poteva permettere si contavano sulle dita di una mano (questo fino al dopoguerra) e non fanno testo. In quegli anni l'aeromodellismo serviva alla macchina di propaganda del Fascismo e che fosse pericoloso o meno non fregava proprio a nessuno, dirigenti in testa. Di incidenti se ne verificarono diversi, di varia entità, ma per quel che mi consta, nessuno mortale.
Nel dopoguerra cominciano ad arrivare i motori dagli Stati Uniti, Garofali apre la Supertigre e qualcuno inizia a fare esperimenti col radiocomando, ma anche in questo caso i numeri tendono a zero per cui non vale la pena di tenerne conto. Quel che invece comincia ad avere un peso sempre maggiore è una nuova categoria di modelli in arrivo da oltreoceano: gli U-Control. I modelli sono abbastanza economici, possono volare in spazi ristretti e soddisfano il bisogno di eccitazione, velocità e gioia di vivere di una generazione umiliata da una guerra atroce. Gli U-Control sono anche un formidabile strumento di propaganda: basta andare a volare in una piazza cittadina e i curiosi accorrono a frotte. In questo modo, senza reti di protezione e senza la minima attenzione alla sicurezza, l'incidente è dietro l'angolo e puntualmente arriva: durante una manifestazione, Piero Gnesi, campione dell'epoca, dà il modello in faccia ad una ragazza che si era avvicinata troppo e che resta sfigurata. Da lì in poi, degli incidenti più o meno gravi si perde il conto. In testa a tutti, i casi di folgorazione degli incauti piloti che, dimenticando di essere collegati al modello attraverso cavi d'acciaio, vanno incoscientemente a volare vicino alle linee elettriche.
Il radiocomando, in Italia, comincia ad avere una sensibile diffusione solo all'inizio degli anni '70, ma di incidenti gravi - per quanto ricordi - non ne accadono per parecchio tempo. L'anno nero è il 1985: due morti ed un modellista ferito seriamente. Ormai da molto tempo chi pratica il volo vincolato lo fa in condizioni di ragionevole sicurezza passiva su piste apposite, munite di robuste reti per il pubblico. Per il radiocomando si va avanti solo col buon senso, per chi ce l'ha. Ci sono gruppi i cui regolamenti di sicurezza vengono rispettati da tutti ed altri dove invece... si salvi chi può! Il volo libero è ormai una specialità per pochi e, comunque, i problemi di sicurezza sono più che altro relativi ai motomodelli.
Il salto di qualità arriva a metà degli anni '90 dove, con la nascita delle micro-turbine, il sempre maggior sviluppo del volo elettrico e la diffusione dei modelli pronti al volo in arrivo dall'Est, prende sempre più piede una nuova categoria di aeromodellisti: quelli che Galè definisce opportunamente "radiopiloti". Se il più sfigato degli aeromodellisti tradizionali bene o male è costretto a sapere qualcosa del modello che ha costruito con le sue mani, il radiopilota non ha più questo problema: lui compra e vola. I problemi aerodinamici e strutturali del modello non lo interessano e va avanti più per sentito dire che per altro. L'ignoranza è la regola e non più l'eccezione: c'è chi compra un modello in fibra e, dato che ritiene che gli alettoni abbiano una scarsa risposta, decide di rifarli più grandi in Depron (testimonianza recente di un amico); c'è chi ha buone disponibilità economiche e, dopo aver imparato a svolazzare con uno schiumino, decide di fare il salto di qualità e comprare un F-16 con una bella JetCat da 12 kg o un bell'elicottero a scoppio con un rotore sciabolante ad altezza-uomo. Il classico tirocinio fatto di veleggiatore, trainer ad ala alta, trainer ad ala bassa, ecc., praticamente non esiste più. L'aeromodellismo domenicale diventa sempre più una sorta di allegra roulette russa.
(fine 1a parte)
Ultima modifica di DoC : 25 gennaio 07 alle ore 11:28 |