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Vecchio 23 novembre 15, 13:12   #1 (permalink)  Top
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Alimentare i dispositivi di bordo

Ieri mattina ho incontrato un amico Modellista, sempre alle prese con piccoli problemi di elettronica sui suoi bellissimi modelli. "perché ho bruciato un led? Ho usato le resistenze che mi hanno dato al negozio di elettronica, ma non ci ho capito nulla. Poi vorrei sapere perché sono costretto ad usare batterie diverse per alimentare i diversi circuiti che ho a bordo. Non posso usare una unica batteria ed usare le resistenze per abbassare la tensione?"

Visto che spesso ho letto di domande simili, scrivo quindi questa piccola guida per riassumere le varie tecniche di alimentazione dei circuiti ausiliari che abbiamo a bordo dei nostri modelli (non tratterò volutamente l'alimentazione dei motori di potenza, esula da questo contesto). Per farlo sarò costretto, non me ne vogliate, ad usare la famosa legge di Ohm, che mette in relazione tensione, corrente e resistenza. Chiedo poi venia per alcune piccole "licenze poetiche" che dovrò fare per rendere il testo più facile da comprendere per i neofiti. Inoltre questa trattazione è valida esclusivamente quando si parla di Corrente Continua, cioè quella erogata da una batteria o da un alimentatore equivalente.

Partirei propri dalla legge di Ohm, che dice che applicando una tensione V ai capi di un conduttore che offre una resistenza R, in quel circuito ci scorrerà una corrente I. Più alta sarà la tensione e più alta sarà la corrente. Più alta sarà la resistenza e più bassa sarà la corrente. Tradotto in formule abbiamo quindi che I= V/R.
La resistenza si misura in Ohm, La tensione di Volt e la corrente in Ampere. 1 volt applicato ad una resistenza di 1 Ohm produrrà una corrente di 1 Ampere.
Sfruttando la matematica si ottengono le formule correlate: V=R*I (la tensione che si produce ai capi di una resistenza R è pari al suo valore moltiplicato la corrente I che la attraversa) e R=V/I (per conoscere la resistenza R di un circuito è sufficiente conoscere la tensione che c'è ai suo capi e dividerla per la corrente che vi scorre)

Circuiti in serie e circuiti in parallelo.

Se mettiamo una batteria (con tensione Vb) collegata a due resistenze R1 e R2 in serie tra loro, la corrente che attraversa la batteria e le due resistenza è chiaramente la stessa. Due resistenze R1 e R2 in serie si comportano, ai fini della corrente che vi circola, come se fossero una resistenza sola, di valore pari alla somma delle due. Ogni resistenza vedrà però ai suoi capi una tensione che è una porzione della tensione della batteria (partitore di tensione).
Analogo discorso se le resistenze fossero 3,4, ..., 10000 .
La corrente I che circola nel nostro circuito sarà quindi Vb/(R1+R2), la tensione ai capi di ogni singola resistenza sara V1=R1*I e V2= R2*I. Sempre sfuttando la matematica, possiamo calcolare il valore delle due tensioni anche senza conoscere la corrente che scorre nel circuito, semplicemente partendo dalla tensione della batteria: V1=Vb*R1/(R1+R2) e V2=Vb*R2/(R1+R2) .Se mettiamo invece una batteria che alimenta due resistenze in parallelo tra loro, ogni resistenza vedrà ai suoi capi la tensione della batteria Vb. La corrente che scorre in ogni resistenza sarà indipendente da quella che scorre in ogni altra. I1 sarà quindi Vb/R1, I2 = Vb/R2, etc. (partitore di corrente). La batteria dovrà erogare una corrente pari alla somma di tutte e correnti che scorrono nelle varie resistenze. La resistenza equivalente di due resistenze in parallelo è uguale alla somma delle due resistenze divisa per il loro prodotto: (R1+R2)/(R1*R2).

Partitori di tensione come riduttori di tensione

Spesso si ha la necessità di alimentare un dispositivo (un motore, un led, etc) con una tensione più bassa di quella a disposizione (tipicamente quella della batteria del nostro modello o quella fornita dal BEC). In alcuni casi ben specifici è possibile utilizzare una resistenza in serie per abbassare la tensione al valore voluto: quando la corrente assorbita dal nostro dispositivo è costante e quando la variazione di tensione della batteria, dovuta al variare del suo stato di carica, non pregiudica il regolare funzionamento del nostro dispositivo.
Per calcolare la resistenza da utilizzare per abbassare la tensione, ci occorre conoscere la tensione della batteria (minima e massima), la tensione minima e massima a cui dobbiamo alimentare il nostro dispositivo e quanta corrente esso assorbe.
Partendo dalla tensione della batteria Vb, dobbiamo sottrargli al tensione richiesta dal dispositivo Vd. Avremo ottenuto la tensione che dovrà "cadere" sulla resistenza. Immaginando, ad esempio, di avere una batteria 3S (12,6V a piena carica) ed un motore da alimentare al massimo a 6V, la caduta di tensione sulla resistenza dovrà essere 12,6-6=6,6 V.
Se il nostro motore assorbe, ad esempio, 100 mA (0,1A), la resistenza la calcoleremo con la formula R=V/I cioè 6,6/0,1=66 Ohm.
Dovremo poi verificare se, in condizioni di batteria scarica, al motore arriverà ancora abbastanza tensione. Immaginiamo di avere le batterie scariche che danno solo 10V e, per semplicità, che il motore assorba sempre 100mA. Essendo costante la corrente, anche la caduta di tensione ai capi della resistenza sarà rimasta costante (6,6V nel nostro caso). La tensione fornita al motore sarà quindi 10-6,6=3,4V (invece dei 6 richiesti). In realtà è ben difficile che il motore mantenga il suo assorbimento costante al variare della tensione di alimentazione, quindi anche la caduta di tensione sulla batteria sarà inferiore.
Se, ad esempio, la corrente assorbita dal motore scendesse a 80mA, la caduta di tensione sulla resistenza sarebbe 66*0,08=5,28V, garantendo quindi al motore una tensione di 10-5,28=4,72V. Dobbiamo controllare che questo valore sia almeno pari della tensione minima applicabile al nostro dispositivo affinchè funzioni correttamente.
Cosa succede se, per un qualsiasi motivo, il nostro motore assorbe più del previsto, magari per un sovraccarico meccanico o semplicemente perché è normale nel suo utilizzo? Ipotizziamo che l'assorbimento aumenti del 50%, passando da 100 a 150 mA. La caduta di tensione sulla resistenza passerà da 6,6V a 9,9V e la tensione di alimentazione del motore crollerà quindi a 12,6-9,9=2,7V, rendendolo inutilizzabile.

Alimentatori stabilizzati

Come avrete notato, la soluzione di utilizzare una resistenza di caduta per ridurre una tensione di alimentazione non è delle più efficienti. Variazioni della tensione della batteria e, soprattutto, variazioni di carico rendono questo sistema assolutamente inidoneo per la maggior parte delle situazioni. Per fortuna ci viene incontro l'elettronica, che ci fornisce dei circuiti di alimentatori estremamente più stabili ed efficienti di una semplice resistenza.
Questi alimentatori si distinguono in alimentatori lineari o switching, a tensione fissa o a tensione regolabile. Ci sono poi alimentatori che erogano una corrente costante, ma li tratteremo a parte in quanto dedicati ad alimentare circuiti ben specifici.

Andiamo con calma. Cosa intendiamo per "alimentatore stabilizzato"? E' abbastanza semplice: si tratta di un circuito che, opportunamente alimentato dalla batteria Vb, fornisce in uscita una tensione assolutamente costante ed indipendente da quanta corrente assorbe il carico. L'elettronica ci fornisce questi componenti già "bell'e pronti", quindi è spesso sufficiente solo collegarli alla batteria ed al carico per farli funzionare senza problemi. Ovviamente questi componenti hanno dei limiti: massima corrente erogabile, massima e minima tensione di alimentazione in ingresso, massima potenza dissipabile. Della potenza dissipabile ne parliamo più avanti, per adesso ci limiteremo a commentare gli altri limiti. Il primo, forse il più importante, è la corrente massima erogabile. Se il nostro dispositivo (il motore, ad esempio) può arrivare ad assorbire una certa corrente, 150 mA nell'esempio precedente, il nostro stabilizzatore dovrà essere in grado di erogare questa corrente.L'altro limite è la tensione minima di alimentazione necessaria per funzionare. Questi circuiti richiedono solitamente una alimentazione di almeno 2-3V superiore alla tensione in uscita; questa differenza di tensione si chiama "Voltage Drop Out" (VDO). Se, ad esempio, abbiamo bisogno di 5V in uscita, dovremo alimentare il circuito con almeno 7-8V. Esistono però dei circuiti, chiamati LDO (Low DropOut Voltage), che riescono a lavorare anche con solo 1V di differenza tra ingresso ed uscita. L'ultimo parametro è la massima tensione in ingresso. Questo parametro è solitamente molto superiore alle tensioni che abbiamo sui nostri modelli, quindi non me ne preoccupo in modo particolare.
Tutti i parametri di cui ho parlato si trovano sempre nei "datasheet" (fogli con i dati) facilmente reperibili per qualsiasi componente. L'unico problema è che questi documenti sono sempre e solo in inglese tecnico......, che neanche Google Traduttore conosce.

In commercio troviamo circuiti integrati che fanno egregiamente questo lavoro: tra gli alimentatori stabilizzati troviamo gli integrati della serie 78xx e 79xx (questi ultimi sono per tensioni di batteria negative), dove xx è la tensione in uscita: 7805 eroga 5V, 7808 eroga 8V, 7812 eroga 12V, etc. Questi integrati erogano senza problemi 1 o 1,5A e sono solitamente protetti contro i sovraccarichi. Sono estremamente semplici da usare, avendo solo tre piedini: ingresso, uscita e massa: tra ingresso e massa colleghiamo la batteria, tra uscita e massa colleghiamo il nostro dispositivo da alimentare. In alcuni casi potrebbe essere utile collegare due piccoli condensatori tra ingresso e massa e tra uscita e massa, non è obbligatorio ma consigliabile. Simili alla serie 78xx è la serie LM1085 (http://www.ti.com/lit/ds/symlink/lm1085.pdf), che hanno una VDO massima di 1,5V, permettendoci quindi di avere 5V a partire anche da una LiPo 2S scarica (che eroga 7 V o meno). Se ci occorre un valore di tensione preciso e che non rientra nei valori "standard", allora dobbiamo rivolgerci agli stabilizzatori regolabili. Questi regolatori possono utilizzare due sistemi di controllo della tensione in uscita: un potenziometro o trimmer (resistenza variabile) collegati ad un piedino dedicato oppure una configurazione con due resistenze che "leggono" la tensione in uscita e la riportano all'integrato stesso. Un esempio classico di questo secondo integrato è l'LM317 (quì 220004 - Regolatore di tensione variabile LM317T , da Vari a trovate gli esempi su come usarlo), componente estremamente versatile e diffuso. Anche come regolatore variabile, se ci occorre un LDO, possiamo usare l'LM1085 nella sua versione "regolabile".

Tutti i regolatori che ho illustrato finora appartengono alla categoria dei "regolatori lineari". Dietro questa definizione si riuniscono tutti quei circuiti che si comportano come una resistenza variabile inserita tra la batteria ed il carico. Se dal punto di vista del carico non ci sono problemi di sorta, questi regolatori hanno un problema grosso quando si parla di carichi importanti o quando la tensione della batteria è molto più alta di quella di alimentazione del carico.
Infatti c'è un problema di cui finora non ho parlato: la resistenza limitatrice, sia essa fisica o "simulata" da un regolatore stabilizzato, deve smaltire la potenza in eccesso erogata dalla batteria e che non viene trasferita al carico.

Sempre chiamando in causa la fisica, sappiamo che la potenza di un circuito elettrico (che si misura in Watt) è pari alla tensione per la corrente. La resistenza limitatrice viene attraversata dalla corrente I destinata al carico, che su di essa di produce la necessaria caduta di tensione Vr, quindi quella resistenza deve dissipare I*Vr Watt. Nell'esempio di sopra, sulla resistenza abbiamo 6,6V di tensione e ci passano 100mA di corrente. La dissipazione sarà quindi di 0,66 W, sufficienti a far diventare tiepida una resistenza che può dissipare al massimo 1W. Ma cosa succede se la corrente richiesta non è di 100mA ma di 1 Ampere? La resistenza non dovrà più essere di 66 Ohm ma solo di 6,6 Ohm, perché la caduta di tensione ai suoi capi dovrà sempre essere di 6,6V, che moltiplicati per 1A significa dover dissipare 6,6 Watt, sufficienti per trasformare una resistenza (almeno da 10 W massimi) in una piccola stufa.Se poi la tensione della batteria non fosse di 12,6V ma fosse di 24V, allora la potenza dissipata diventerebbe (24-6)*1=18 Watt e la resistenza da comprare deve sopportare almeno 20W (meglio 30) Spreco di energia a parte, ci troviamo con un grosso problema nel dover smaltire tutto questo calore. E' per questo motivo che i regolatori lineari devono essere raffreddati e che, prima di impiegarli, dobbiamo accertarci di non superare la loro massima potenza dissipabile.

Nel linguaggio modellistico noi conosciamo i BEC lineari. Adesso sapete come sono fatti dentro.

Regolatori non lineari.
Quando l'utilizzo di regolatori lineari è sconsigliata per problemi di elevata dissipazione di potenza, l'elettronica ci viene incontro con i regolatori non lineari, detti anche "switching" in base al principio di funzionamento interno. Senza entrare nel dettaglio del funzionamento (quì Alimentatore switching: Schema e Funzionamento maggiori info per i più curiosi), questi alimentatori hanno la capacità di gestire grandi potenze in uscita e/o grandi differenze di tensione tra quella della batteria e quella del carico, senza dover dissipare in calore tutta la potenza in eccesso. Il trucco (magie dell'elettronica) sta nel fatto che questi alimentatori assorbono dalla batteria meno corrente di quanta ne erogano al carico, aumentando quindi l'efficienza dell'intero sistema (tipicamente hanno una efficienza dell'80-90%).
Anche per questi regolatori vale quanto detto per quelli lineari: occorre conoscere la tensione di uscita che ci occorre, la massima e la minima tensione in ingresso, la massima corrente erogabile e la massima potenza dissipabile.

Nel nostro linguaggio conosciamo gli SBEC (BEC Switching). Avete appena scoperto come sono costruiti.

Questa tecnologia ci consente anche di fare una "piccola magia", cioè di ottenere una tensione in uscita maggiore di quella in ingresso (step-up). Ovviamente la corrente richiesta in ingresso sarà decisamente maggiore di quella erogabile in uscita, ma è un piccolo pegno da pagare a questo piccolo miracolo.

Alimentatori a corrente costante (CC)

In alcuni casi, peraltro abbastanza limitati, abbiamo la necessità che il nostro carico assorba una corrente assolutamente costante. Un esempio tipico è dato dai LED, che a causa del loro principio di funzionamento non ci permettono di prevedere con precisione quanta corrente li attraverserà. Siccome la luminosità di un LED (ed anche la sua durata) dipendono dalla corrente che li attraversa, allora ci è conveniente alimentarli in corrente costante piuttosto che in tensione costante.
Un alimentatore a corrente costante è un circuito che modifica la sua tensione di uscita in modo che la corrente erogata rimanga costante ed uguale a quella impostata. Ci sono moltissimi circuiti che svolgono questo compito, ma è diffusissimo l'utilizzo dell'LM317 (lo stesso che ho citato prima) come alimentatore a CC.

L'LM317
Cogliamo quindi l'occasione per conoscere meglio questo utilissimo componente.
Nel suo formato più comune si presenta come un pezzettino di plastica nera di c.ca un centimetro di lato, con tre terminali da un lato (Entrata, Massa/Adj e Uscita) ed una piastrina di metallo sul retro. Questa piastrina ci occorre per montarci una piccola aletta di raffreddamento, se necessaria, ed è collegata elettricamente al terminale centrale (quello di massa). Questo circuito integrato ha la caratteristica di mantenere in uscita una tensione costante di 1,25V rispetto al terminale di massa. Nell'ipotesi più semplice, cioè che ci occorre proprio una tensione di 1,25V, basta applicare la batteria tra il suo terminale Ingresso e Massa ed il carico tra il suo terminale Uscita e Massa.
Ovviamente questo è un caso abbastanza raro, nella maggioranza dei casi lo utilizzeremo come regolatore a tensione costante o a corrente costante. Come regolatore a tensione costante dovremo collegare una resistenza R1 tra il suo terminale Uscita e quella Adj e poi una seconda resistenza P1 (fissa o variabile) tra il terminale Adj ed il negativo della batteria.
La tensione in uscita la preleveremo tra il terminale Uscita ed il negativo della batteria. La tensione in uscita viene "comandata" dal partitore R1+P1. Attraverso queste due resistenze scorre la stessa corrente, che provoca due distinte cadute di tensione. L'integrato regolerà la corrente in uscita affinchè sulla R1 ci sia una caduta di tensione esattamente pari a 1,25V. Basterà calcolare la P1 per avere in uscita sul carico qualsiasi valore di tensione compreso tra 1,25V (resistenza zero) e (quasi) la tensione di batteria (resistenza infinita).Due piccoli condensatori completano il circuito.
Come alimentatore a Corrente Costante il principio è simile.
Immaginiamo innanzitutto di avere il solo LM317 che alimenta un suo carico Rx, collegato tra la sua Uscita e Massa/Adj. Questo carico vedrà ai suoi capi la tensione fissa di 1,25V e ci scorrerà sopra la corrente Ix, secondo la formula 1,25/Rx. Non c'è motivo al mondo per cui questa corrente possa variare. Ci basta mettere il nostro carico tra il terminale Massa ed il negativo della batteria per aver fatto il nostro semplicissimo alimentatore a corrente costante. Facendo un esempio pratico, come quello dell'immagine allegata in cui si alimenta un led, ci basta decidere quale corrente dovrà attraversare il led per conoscere il valore della Rx. se vogliamo 50 mA, avremo 1,25/0,050= 25 Ohm.
La corrente massima erogabile è sempre di almeno 500mA ed arriva, in alcune versioni, anche ad alcuni Ampere. Non dimentichiamoci mai di fare il calcolo della potenza che l'LM317 dovrà dissipare: (massima Tensione di batteria - minima tensione sul carico) / massima corrente erogata. La massima potenza dissipabile senza aletta è riportata sul datasheet e quindi, se necessario, applicare l'aletta di raffreddamento.

Carlo
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Dai un pesce ad un uomo e lo avrai sfamato per un giorno, insegnagli a pescare e lo avrai sfamato per sempre. (Confucio)
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CarloRoma63 non è collegato   Rispondi citando
Vecchio 24 novembre 15, 00:25   #2 (permalink)  Top
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Originalmente inviato da CarloRoma63 Visualizza messaggio
Ieri mattina ho incontrato un amico Modellista, sempre alle prese con piccoli problemi di elettronica sui suoi bellissimi modelli. "perché ho bruciato un led? Ho usato le resistenze che mi hanno dato al negozio di elettronica, ma non ci ho capito nulla. Poi vorrei sapere perché sono costretto ad usare batterie diverse per alimentare i diversi circuiti che ho a bordo. Non posso usare una unica batteria ed usare le resistenze per abbassare la tensione?"

Visto che spesso ho letto di domande simili, scrivo quindi questa piccola guida per riassumere le varie tecniche di alimentazione dei circuiti ausiliari che abbiamo a bordo dei nostri modelli (non tratterò volutamente l'alimentazione dei motori di potenza, esula da questo contesto). Per farlo sarò costretto, non me ne vogliate, ad usare la famosa legge di Ohm, che mette in relazione tensione, corrente e resistenza. Chiedo poi venia per alcune piccole "licenze poetiche" che dovrò fare per rendere il testo più facile da comprendere per i neofiti. Inoltre questa trattazione è valida esclusivamente quando si parla di Corrente Continua, cioè quella erogata da una batteria o da un alimentatore equivalente.

Partirei propri dalla legge di Ohm, che dice che applicando una tensione V ai capi di un conduttore che offre una resistenza R, in quel circuito ci scorrerà una corrente I. Più alta sarà la tensione e più alta sarà la corrente. Più alta sarà la resistenza e più bassa sarà la corrente. Tradotto in formule abbiamo quindi che I= V/R.
La resistenza si misura in Ohm, La tensione di Volt e la corrente in Ampere. 1 volt applicato ad una resistenza di 1 Ohm produrrà una corrente di 1 Ampere.
Sfruttando la matematica si ottengono le formule correlate: V=R*I (la tensione che si produce ai capi di una resistenza R è pari al suo valore moltiplicato la corrente I che la attraversa) e R=V/I (per conoscere la resistenza R di un circuito è sufficiente conoscere la tensione che c'è ai suo capi e dividerla per la corrente che vi scorre)

Circuiti in serie e circuiti in parallelo.

Se mettiamo una batteria (con tensione Vb) collegata a due resistenze R1 e R2 in serie tra loro, la corrente che attraversa la batteria e le due resistenza è chiaramente la stessa. Due resistenze R1 e R2 in serie si comportano, ai fini della corrente che vi circola, come se fossero una resistenza sola, di valore pari alla somma delle due. Ogni resistenza vedrà però ai suoi capi una tensione che è una porzione della tensione della batteria (partitore di tensione).
Analogo discorso se le resistenze fossero 3,4, ..., 10000 .
La corrente I che circola nel nostro circuito sarà quindi Vb/(R1+R2), la tensione ai capi di ogni singola resistenza sara V1=R1*I e V2= R2*I. Sempre sfuttando la matematica, possiamo calcolare il valore delle due tensioni anche senza conoscere la corrente che scorre nel circuito, semplicemente partendo dalla tensione della batteria: V1=Vb*R1/(R1+R2) e V2=Vb*R2/(R1+R2) .Se mettiamo invece una batteria che alimenta due resistenze in parallelo tra loro, ogni resistenza vedrà ai suoi capi la tensione della batteria Vb. La corrente che scorre in ogni resistenza sarà indipendente da quella che scorre in ogni altra. I1 sarà quindi Vb/R1, I2 = Vb/R2, etc. (partitore di corrente). La batteria dovrà erogare una corrente pari alla somma di tutte e correnti che scorrono nelle varie resistenze. La resistenza equivalente di due resistenze in parallelo è uguale alla somma delle due resistenze divisa per il loro prodotto: (R1+R2)/(R1*R2).

Partitori di tensione come riduttori di tensione

Spesso si ha la necessità di alimentare un dispositivo (un motore, un led, etc) con una tensione più bassa di quella a disposizione (tipicamente quella della batteria del nostro modello o quella fornita dal BEC). In alcuni casi ben specifici è possibile utilizzare una resistenza in serie per abbassare la tensione al valore voluto: quando la corrente assorbita dal nostro dispositivo è costante e quando la variazione di tensione della batteria, dovuta al variare del suo stato di carica, non pregiudica il regolare funzionamento del nostro dispositivo.
Per calcolare la resistenza da utilizzare per abbassare la tensione, ci occorre conoscere la tensione della batteria (minima e massima), la tensione minima e massima a cui dobbiamo alimentare il nostro dispositivo e quanta corrente esso assorbe.
Partendo dalla tensione della batteria Vb, dobbiamo sottrargli al tensione richiesta dal dispositivo Vd. Avremo ottenuto la tensione che dovrà "cadere" sulla resistenza. Immaginando, ad esempio, di avere una batteria 3S (12,6V a piena carica) ed un motore da alimentare al massimo a 6V, la caduta di tensione sulla resistenza dovrà essere 12,6-6=6,6 V.
Se il nostro motore assorbe, ad esempio, 100 mA (0,1A), la resistenza la calcoleremo con la formula R=V/I cioè 6,6/0,1=66 Ohm.
Dovremo poi verificare se, in condizioni di batteria scarica, al motore arriverà ancora abbastanza tensione. Immaginiamo di avere le batterie scariche che danno solo 10V e, per semplicità, che il motore assorba sempre 100mA. Essendo costante la corrente, anche la caduta di tensione ai capi della resistenza sarà rimasta costante (6,6V nel nostro caso). La tensione fornita al motore sarà quindi 10-6,6=3,4V (invece dei 6 richiesti). In realtà è ben difficile che il motore mantenga il suo assorbimento costante al variare della tensione di alimentazione, quindi anche la caduta di tensione sulla batteria sarà inferiore.
Se, ad esempio, la corrente assorbita dal motore scendesse a 80mA, la caduta di tensione sulla resistenza sarebbe 66*0,08=5,28V, garantendo quindi al motore una tensione di 10-5,28=4,72V. Dobbiamo controllare che questo valore sia almeno pari della tensione minima applicabile al nostro dispositivo affinchè funzioni correttamente.
Cosa succede se, per un qualsiasi motivo, il nostro motore assorbe più del previsto, magari per un sovraccarico meccanico o semplicemente perché è normale nel suo utilizzo? Ipotizziamo che l'assorbimento aumenti del 50%, passando da 100 a 150 mA. La caduta di tensione sulla resistenza passerà da 6,6V a 9,9V e la tensione di alimentazione del motore crollerà quindi a 12,6-9,9=2,7V, rendendolo inutilizzabile.

Alimentatori stabilizzati

Come avrete notato, la soluzione di utilizzare una resistenza di caduta per ridurre una tensione di alimentazione non è delle più efficienti. Variazioni della tensione della batteria e, soprattutto, variazioni di carico rendono questo sistema assolutamente inidoneo per la maggior parte delle situazioni. Per fortuna ci viene incontro l'elettronica, che ci fornisce dei circuiti di alimentatori estremamente più stabili ed efficienti di una semplice resistenza.
Questi alimentatori si distinguono in alimentatori lineari o switching, a tensione fissa o a tensione regolabile. Ci sono poi alimentatori che erogano una corrente costante, ma li tratteremo a parte in quanto dedicati ad alimentare circuiti ben specifici.

Andiamo con calma. Cosa intendiamo per "alimentatore stabilizzato"? E' abbastanza semplice: si tratta di un circuito che, opportunamente alimentato dalla batteria Vb, fornisce in uscita una tensione assolutamente costante ed indipendente da quanta corrente assorbe il carico. L'elettronica ci fornisce questi componenti già "bell'e pronti", quindi è spesso sufficiente solo collegarli alla batteria ed al carico per farli funzionare senza problemi. Ovviamente questi componenti hanno dei limiti: massima corrente erogabile, massima e minima tensione di alimentazione in ingresso, massima potenza dissipabile. Della potenza dissipabile ne parliamo più avanti, per adesso ci limiteremo a commentare gli altri limiti. Il primo, forse il più importante, è la corrente massima erogabile. Se il nostro dispositivo (il motore, ad esempio) può arrivare ad assorbire una certa corrente, 150 mA nell'esempio precedente, il nostro stabilizzatore dovrà essere in grado di erogare questa corrente.L'altro limite è la tensione minima di alimentazione necessaria per funzionare. Questi circuiti richiedono solitamente una alimentazione di almeno 2-3V superiore alla tensione in uscita; questa differenza di tensione si chiama "Voltage Drop Out" (VDO). Se, ad esempio, abbiamo bisogno di 5V in uscita, dovremo alimentare il circuito con almeno 7-8V. Esistono però dei circuiti, chiamati LDO (Low DropOut Voltage), che riescono a lavorare anche con solo 1V di differenza tra ingresso ed uscita. L'ultimo parametro è la massima tensione in ingresso. Questo parametro è solitamente molto superiore alle tensioni che abbiamo sui nostri modelli, quindi non me ne preoccupo in modo particolare.
Tutti i parametri di cui ho parlato si trovano sempre nei "datasheet" (fogli con i dati) facilmente reperibili per qualsiasi componente. L'unico problema è che questi documenti sono sempre e solo in inglese tecnico......, che neanche Google Traduttore conosce.

In commercio troviamo circuiti integrati che fanno egregiamente questo lavoro: tra gli alimentatori stabilizzati troviamo gli integrati della serie 78xx e 79xx (questi ultimi sono per tensioni di batteria negative), dove xx è la tensione in uscita: 7805 eroga 5V, 7808 eroga 8V, 7812 eroga 12V, etc. Questi integrati erogano senza problemi 1 o 1,5A e sono solitamente protetti contro i sovraccarichi. Sono estremamente semplici da usare, avendo solo tre piedini: ingresso, uscita e massa: tra ingresso e massa colleghiamo la batteria, tra uscita e massa colleghiamo il nostro dispositivo da alimentare. In alcuni casi potrebbe essere utile collegare due piccoli condensatori tra ingresso e massa e tra uscita e massa, non è obbligatorio ma consigliabile. Simili alla serie 78xx è la serie LM1085 (http://www.ti.com/lit/ds/symlink/lm1085.pdf), che hanno una VDO massima di 1,5V, permettendoci quindi di avere 5V a partire anche da una LiPo 2S scarica (che eroga 7 V o meno). Se ci occorre un valore di tensione preciso e che non rientra nei valori "standard", allora dobbiamo rivolgerci agli stabilizzatori regolabili. Questi regolatori possono utilizzare due sistemi di controllo della tensione in uscita: un potenziometro o trimmer (resistenza variabile) collegati ad un piedino dedicato oppure una configurazione con due resistenze che "leggono" la tensione in uscita e la riportano all'integrato stesso. Un esempio classico di questo secondo integrato è l'LM317 (quì 220004 - Regolatore di tensione variabile LM317T , da Vari a trovate gli esempi su come usarlo), componente estremamente versatile e diffuso. Anche come regolatore variabile, se ci occorre un LDO, possiamo usare l'LM1085 nella sua versione "regolabile".

Tutti i regolatori che ho illustrato finora appartengono alla categoria dei "regolatori lineari". Dietro questa definizione si riuniscono tutti quei circuiti che si comportano come una resistenza variabile inserita tra la batteria ed il carico. Se dal punto di vista del carico non ci sono problemi di sorta, questi regolatori hanno un problema grosso quando si parla di carichi importanti o quando la tensione della batteria è molto più alta di quella di alimentazione del carico.
Infatti c'è un problema di cui finora non ho parlato: la resistenza limitatrice, sia essa fisica o "simulata" da un regolatore stabilizzato, deve smaltire la potenza in eccesso erogata dalla batteria e che non viene trasferita al carico.

Sempre chiamando in causa la fisica, sappiamo che la potenza di un circuito elettrico (che si misura in Watt) è pari alla tensione per la corrente. La resistenza limitatrice viene attraversata dalla corrente I destinata al carico, che su di essa di produce la necessaria caduta di tensione Vr, quindi quella resistenza deve dissipare I*Vr Watt. Nell'esempio di sopra, sulla resistenza abbiamo 6,6V di tensione e ci passano 100mA di corrente. La dissipazione sarà quindi di 0,66 W, sufficienti a far diventare tiepida una resistenza che può dissipare al massimo 1W. Ma cosa succede se la corrente richiesta non è di 100mA ma di 1 Ampere? La resistenza non dovrà più essere di 66 Ohm ma solo di 6,6 Ohm, perché la caduta di tensione ai suoi capi dovrà sempre essere di 6,6V, che moltiplicati per 1A significa dover dissipare 6,6 Watt, sufficienti per trasformare una resistenza (almeno da 10 W massimi) in una piccola stufa.Se poi la tensione della batteria non fosse di 12,6V ma fosse di 24V, allora la potenza dissipata diventerebbe (24-6)*1=18 Watt e la resistenza da comprare deve sopportare almeno 20W (meglio 30) Spreco di energia a parte, ci troviamo con un grosso problema nel dover smaltire tutto questo calore. E' per questo motivo che i regolatori lineari devono essere raffreddati e che, prima di impiegarli, dobbiamo accertarci di non superare la loro massima potenza dissipabile.

Nel linguaggio modellistico noi conosciamo i BEC lineari. Adesso sapete come sono fatti dentro.

Regolatori non lineari.
Quando l'utilizzo di regolatori lineari è sconsigliata per problemi di elevata dissipazione di potenza, l'elettronica ci viene incontro con i regolatori non lineari, detti anche "switching" in base al principio di funzionamento interno. Senza entrare nel dettaglio del funzionamento (quì Alimentatore switching: Schema e Funzionamento maggiori info per i più curiosi), questi alimentatori hanno la capacità di gestire grandi potenze in uscita e/o grandi differenze di tensione tra quella della batteria e quella del carico, senza dover dissipare in calore tutta la potenza in eccesso. Il trucco (magie dell'elettronica) sta nel fatto che questi alimentatori assorbono dalla batteria meno corrente di quanta ne erogano al carico, aumentando quindi l'efficienza dell'intero sistema (tipicamente hanno una efficienza dell'80-90%).
Anche per questi regolatori vale quanto detto per quelli lineari: occorre conoscere la tensione di uscita che ci occorre, la massima e la minima tensione in ingresso, la massima corrente erogabile e la massima potenza dissipabile.

Nel nostro linguaggio conosciamo gli SBEC (BEC Switching). Avete appena scoperto come sono costruiti.

Questa tecnologia ci consente anche di fare una "piccola magia", cioè di ottenere una tensione in uscita maggiore di quella in ingresso (step-up). Ovviamente la corrente richiesta in ingresso sarà decisamente maggiore di quella erogabile in uscita, ma è un piccolo pegno da pagare a questo piccolo miracolo.

Alimentatori a corrente costante (CC)

In alcuni casi, peraltro abbastanza limitati, abbiamo la necessità che il nostro carico assorba una corrente assolutamente costante. Un esempio tipico è dato dai LED, che a causa del loro principio di funzionamento non ci permettono di prevedere con precisione quanta corrente li attraverserà. Siccome la luminosità di un LED (ed anche la sua durata) dipendono dalla corrente che li attraversa, allora ci è conveniente alimentarli in corrente costante piuttosto che in tensione costante.
Un alimentatore a corrente costante è un circuito che modifica la sua tensione di uscita in modo che la corrente erogata rimanga costante ed uguale a quella impostata. Ci sono moltissimi circuiti che svolgono questo compito, ma è diffusissimo l'utilizzo dell'LM317 (lo stesso che ho citato prima) come alimentatore a CC.

L'LM317
Cogliamo quindi l'occasione per conoscere meglio questo utilissimo componente.
Nel suo formato più comune si presenta come un pezzettino di plastica nera di c.ca un centimetro di lato, con tre terminali da un lato (Entrata, Massa/Adj e Uscita) ed una piastrina di metallo sul retro. Questa piastrina ci occorre per montarci una piccola aletta di raffreddamento, se necessaria, ed è collegata elettricamente al terminale centrale (quello di massa). Questo circuito integrato ha la caratteristica di mantenere in uscita una tensione costante di 1,25V rispetto al terminale di massa. Nell'ipotesi più semplice, cioè che ci occorre proprio una tensione di 1,25V, basta applicare la batteria tra il suo terminale Ingresso e Massa ed il carico tra il suo terminale Uscita e Massa.
Ovviamente questo è un caso abbastanza raro, nella maggioranza dei casi lo utilizzeremo come regolatore a tensione costante o a corrente costante. Come regolatore a tensione costante dovremo collegare una resistenza R1 tra il suo terminale Uscita e quella Adj e poi una seconda resistenza P1 (fissa o variabile) tra il terminale Adj ed il negativo della batteria.
La tensione in uscita la preleveremo tra il terminale Uscita ed il negativo della batteria. La tensione in uscita viene "comandata" dal partitore R1+P1. Attraverso queste due resistenze scorre la stessa corrente, che provoca due distinte cadute di tensione. L'integrato regolerà la corrente in uscita affinchè sulla R1 ci sia una caduta di tensione esattamente pari a 1,25V. Basterà calcolare la P1 per avere in uscita sul carico qualsiasi valore di tensione compreso tra 1,25V (resistenza zero) e (quasi) la tensione di batteria (resistenza infinita).Due piccoli condensatori completano il circuito.
Come alimentatore a Corrente Costante il principio è simile.
Immaginiamo innanzitutto di avere il solo LM317 che alimenta un suo carico Rx, collegato tra la sua Uscita e Massa/Adj. Questo carico vedrà ai suoi capi la tensione fissa di 1,25V e ci scorrerà sopra la corrente Ix, secondo la formula 1,25/Rx. Non c'è motivo al mondo per cui questa corrente possa variare. Ci basta mettere il nostro carico tra il terminale Massa ed il negativo della batteria per aver fatto il nostro semplicissimo alimentatore a corrente costante. Facendo un esempio pratico, come quello dell'immagine allegata in cui si alimenta un led, ci basta decidere quale corrente dovrà attraversare il led per conoscere il valore della Rx. se vogliamo 50 mA, avremo 1,25/0,050= 25 Ohm.
La corrente massima erogabile è sempre di almeno 500mA ed arriva, in alcune versioni, anche ad alcuni Ampere. Non dimentichiamoci mai di fare il calcolo della potenza che l'LM317 dovrà dissipare: (massima Tensione di batteria - minima tensione sul carico) / massima corrente erogata. La massima potenza dissipabile senza aletta è riportata sul datasheet e quindi, se necessario, applicare l'aletta di raffreddamento.

Carlo
Senza ombra di dubbio hai fatto un ottimo lavoro!! non ho letto tutto nel dettaglio tutto ma mi sono accorto di due cose errate (probabilmente una svista dopo aver scritto tutto questo )
- la formula delle 2 resistenze in parallelo è (R1*R2)/(R1+R2) e non il reciproco
- la potenza del LM317 è (massima Tensione di batteria - minima tensione sul carico) * massima corrente erogata e non diviso (P=V*I)
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Vecchio 24 novembre 15, 09:23   #3 (permalink)  Top
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Originalmente inviato da aero330 Visualizza messaggio
Senza ombra di dubbio hai fatto un ottimo lavoro!! non ho letto tutto nel dettaglio tutto ma mi sono accorto di due cose errate (probabilmente una svista dopo aver scritto tutto questo )
- la formula delle 2 resistenze in parallelo è (R1*R2)/(R1+R2) e non il reciproco
- la potenza del LM317 è (massima Tensione di batteria - minima tensione sul carico) * massima corrente erogata e non diviso (P=V*I)
Hai ragione!!!!! Sorry!!!

Adesso chiedo ad un mod di poter modificare il messaggio per correggere queste due baggianate che ho scritto!

Grazie per la segnalazione

Carlo
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Vecchio 18 febbraio 16, 12:30   #4 (permalink)  Top
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Oggi ho ricevuto un PM con un quesito che può essere interessante per tutti, quindi ne pubblico la risposta che ho dato.
Citazione:
Originalmente inviato da xxxx

ciao Carlo,
.....
ho un circuito che fa lampeggiare 3 led ad alta luminosità, voglio aggiungere altri led, diciamo 3 o 4 file per un totale di 27 o 36 led. mi consigli in serie o parallelo ?
ma il mio problema è come calcolare la resistenza di base del transistor ? mi spieghi per cortesia.

in questo forum trovi il mio post con relativo circuito
http://www.electroyou.it/forum/viewt...632715#p632715

grazie.
In questo caso i led sono a bassa intensità (contrariamente a quanto indicato nel messaggio, led da 22mA sono a bassa luminosità), quindi i problemi di stabilità della corrente e prevenzione delle derive termiche sono molto meno sentiti. Anche la stabilità di luminosità rispetto all'alimentazione mi sembra essere meno importante, quindi ho fatto delle valutazioni meno restrittive su questi aspetti.

Quella che segue è la risposta che ho inviato.
Citazione:

Ciao,
il tuo problema è molto semplice da risolvere. Occorre conoscere la tensione di alimentazione del circuito e la tensione e la corrente di lavoro dei led.

Per il numero dei led che puoi mettere in serie devi fare questo calcolo approssimativo: (tensione di alimentazione - 3 Volt) diviso per la tensione di lavoro dei led.
I 3V che devi sottrarre all'alimentazione occorrono per comprendere le cadute di tensione sui vari componenti (resistenze limitatrici e transistor). Se l'alimentazione è molto stabile puoi sottrarre 2V invece che 3V
Facciamo esempio che lavori a 9V di alimentazione (non stabilizzata) e che i led lavorano a 2,2V ciascuno (ho preso questi dati dal tuo post).
9-3 =6V, che divisi per 2,2 ottieni 2 e qualche cosa. Quindi puoi usare due soli led in serie, in quanto 3 led arriverebbero a 6,6V, tensione troppo elevata per garantire una buona stabilità di funzionamento.
I due led produrranno quindi una caduta di tensione di 2,2*2=4,4 Volt. La differenza tra questa tensione e quella di alimentazione (9-4,4=4,6) andrà distribuita tra il transistor e le resistenze limitatrici. Il transistor, per definizione, ha una caduta di tensione in saturazione di 0,7V, che diventano 1,3V se usi un darlington. La differenza tra i 4,6V di prima e questa tensione andrà smaltita attraverso le resistenze limitatrici.
Per arrivare ad usare 3 led in serie puoi sostituire il transistor con un mosfet, che ha una caduta di tensione in saturazione prossima a zero (non oltre 0,2V nel progetto in questione).
Ogni serie di led assorbirà la corrente nominale, quindi nel tuo caso 22 mA. Le resistenze limitatrici, una per ogni serie, andranno calcolate usando questa corrente. Facendo i conti con i tuoi dati ed ipotizzando l'uso del mosfet invece del transistor, abbiamo tre led in serie, quindi 6,6V di tensione ai loro capi. 9-6,6=2,4V di caduta sulla resistenza limitatrice. 2,4V/0,022A fanno circa 110 Ohm, che approssimiamo a 100 (110 non è un valore commerciale). Ogni resistenza dovrà dissipare 2.4*0.022A = 0,05W, quindi puoi prenderle tranquillamente da 1/4 di W ed avere quindi pochissimo ingombro.
Puoi mettere in parallelo quante serie vuoi (nel tuo caso te ne occorrono 9) e pilotarle tutte con un unico mosfet (se ce la fa) oppure con più mosfet (ognuno che pilota una o più serie, in funzione della massima corrente sopportata). Considerando che il mosfet BS170 (ad esempio, quì trovi il suo dastasheet http://html.alldatasheet.com/html-pd...6/1/BS170.html) sopporta 500 mA, se ogni serie di led ne assorbe 22 ti basta un solo BS170 per pilotare una ventina di serie di led, molto più del tuo requisito.

La resistenza tra il 555 ed il mosfet potresti anche non metterla, ma una da 1K non costa nulla e ti garantisce una maggiore stabilità.

Carlo
Carlo
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CarloRoma63 non è collegato   Rispondi citando
Vecchio 20 aprile 16, 12:23   #5 (permalink)  Top
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Salve,
visto la vostra preparazione approfitto per un consiglio.

Ho una ventola che assorbe circa 120 ampere con sei celle,
il regolatore che uso ha sbec con cui alimento l'impianto radio.

Sono preoccupato da un eventuale problema delle batterie in particolare mi sembra che le linguette che uniscono le varie celle siano sottodimensionate per il carico che devono sopportare.

Pensavo di alimentare l'impianto radio con in parallelo sbec e 2life magari interponendo due diodi,

che ne pensate

grazie

massimo
Milus non è collegato   Rispondi citando
Vecchio 20 aprile 16, 12:47   #6 (permalink)  Top
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Originalmente inviato da Milus Visualizza messaggio
Salve,
visto la vostra preparazione approfitto per un consiglio.

Ho una ventola che assorbe circa 120 ampere con sei celle,
il regolatore che uso ha sbec con cui alimento l'impianto radio.

Sono preoccupato da un eventuale problema delle batterie in particolare mi sembra che le linguette che uniscono le varie celle siano sottodimensionate per il carico che devono sopportare.

Pensavo di alimentare l'impianto radio con in parallelo sbec e 2life magari interponendo due diodi,

che ne pensate

grazie

massimo
In teoria si, ma devi usare diodi a bassa caduta (schottky) perchè altrimenti ti trovi con la radio alimentata con 0,7V in meno. Ovviamente i diodi devono essere dimensionati per il carico richiesto.

Carlo
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